5.1 Costi e ricavi del monopolista
Nei due capitoli precedenti abbiamo esaminato il comportamento delle imprese in un mercato perfettamente concorrenziale, dove nel lungo periodo ciascuna impresa produce al costo medio minimo, e il prezzo di equilibrio si stabilisce a questo livello. In questo capitolo, ci concentreremo sull’analisi del monopolio, una struttura di mercato in cui un’unica impresa controlla l’intera offerta del bene.
Un mercato può diventare monopolistico per vari motivi. In alcuni casi, un’impresa può acquisire il controllo esclusivo su risorse o tecnologie essenziali alla produzione, e quindi impedire ad altre imprese di entrare. In altri casi possono esistere barriere all’ingresso come alti costi iniziali o brevetti. In altri casi ancora, un monopolio può essere creato da politiche statali che assegnano a un’unica impresa il diritto esclusivo di produrre e vendere un determinato bene o servizio.
Per permettere un confronto diretto tra concorrenza perfetta e monopolio, assumeremo che la struttura tecnologica dell’industria sia la stessa — in ogni unità produttiva, impiegare $L$ unità di lavoro consente di ottenere $Q = A \sqrt{L}$ unità di output. Anche qui mantenere attiva un’unità produttiva richiede una spesa pari a $FC$, e il prezzo di una unità di lavoro è $W$. La differenza cruciale tra concorrenza perfetta e monopolio risiede nella struttura proprietaria dell’industria. Mentre un’impresa concorrenziale è proprietaria di (e quindi vincolata ad operare con) una singola unità produttiva, il monopolista è proprietario di tutte le possibili unità produttive e può scegliere quante mantenerne attive.
Come vedremo, questa differenza ha una conseguenza importante sulla struttura dei costi: nel caso del monopolio, il costo marginale e il costo medio sono costanti e uguali a $AC_\text{min}$, poiché il monopolista può sfruttare tutte le unità produttive al costo minimo possibile. In altre parole, il monopolista, avendo accesso a tutte le unità produttive, può produrre al minimo costo per ogni quantità prodotta. Questo differisce dalla concorrenza perfetta, dove ciascuna impresa produce a livello di costo medio minimo, ma non ha la possibilità di espandere la produzione al di fuori della propria unità produttiva.
La seconda differenza cruciale rispetto alla concorrenza perfetta è che il monopolista, a differenza dell’impresa concorrenziale, è un price-maker e non un price-taker. In altre parole, mentre le imprese in concorrenza perfetta prendono il prezzo di mercato come dato (essendo piccole rispetto al mercato), il monopolista ha il potere di influenzare il prezzo attraverso la propria decisione di quanto produrre.
Il monopolista differisce quindi da un’impresa concorrenziale per due motivi. Il primo riguarda i costi, come detto in precedenza. Il secondo riguarda i ricavi, poiché il monopolista ha di fronte una curva di domanda inclinata negativamente e quindi deve ridurre il prezzo per poter vendere quantità aggiuntive.
Cominceremo ora ad affrontare il problema di scelta del monopolista. Il problema sembrerebbe molto più complicato di quello di un’impresa concorrenziale. Quest’ultima deve solo decidere quanto produrre. Per poter individuare la sua scelta ottima il monopolista deve invece rispondere a tre domande:
-
quanto produrre
-
quante unità produttive utilizzare
-
come ripartire la produzione tra le unità produttive
Come vedremo, però, date le nostre ipotesi il problema si rivelerà essere molto più semplice di quanto sembri. Una volta analizzati i costi del monopolista, delle tre domande rimarrà da rispondere solo la prima.
Costi del monopolista
Nel capitolo precedente, quando abbiamo discusso l’efficienza dei mercati concorrenziali, abbiamo osservato come non esistesse una ripartizione della produzione tra le imprese — diversa dal produrre tutte la stessa quantità — che consentisse di ridurre il costo complessivamente sostenuto da esse. Le stesse considerazioni valgono per un monopolista. Qualunque sia la quantità che il monopolista voglia produrre, e qualunque sia il numero di unità produttive che voglia utilizzare, per minimizzare i costi al monopolista conviene ripartire la produzione ugualmente tra le unità produttive.
La seguente figura, in cui ipotizziamo che il monopolista utilizzi due unità produttive, fornisce un esempio che ci aiuta a ribadire questo fatto.
Nella figura abbiamo ipotizzato che il monopolista utilizzi due unità produttive, ma lo stesso ragionamento vale per qualunque altro numero di unità. Al monopolista conviene sempre ripartire la produzione ugualmente tra le unità produttive. Oltre ad avere senso economico, questo fatto semplifica notevolmente il problema del monopolista. Volendo utilizzare $n$ unità produttive e produrre $Q$ chili di pasta, il monopolista sceglierà sempre di farlo producendo $Q/n$ chili in ognuna delle sue $n$ unità. Il costo corrispondente è quindi
Abbiamo visto come calcolare il costo variabile della singola unità produttiva nella Sezione 3.2.
\(\begin{gathered} C_n (Q) = n \times \big[ FC + \underbrace{W \times (Q/n)^2 / A^2}_{\substack{\text{costo variabile della}\\ \text{singola unità produttiva}}} \big] \end{gathered}\)
Avendo risposto alla terza domanda posta prima — come ripartire la produzione tra le unità produttive — siamo ora pronti a rispondere alla seconda: quante unità produttive utilizzare? In altre parole, data una qualunque quantità di output $Q$ che il monopolista potrebbe voler produrre, quale valore di $n$ minimizza il costo $C_n(Q)$?
Anziché addentrarci nei calcoli, procediamo in maniera intuitiva. Il numero di unità produttive che minimizza il costo di produrre $Q$ unità non può che essere quello che minimizza il costo medio di produrre $Q$ unità. Abbiamo quindi risposto anche alla seconda domanda. Assumendo per semplicità che il monopolista voglia produrre una quantità di output pari a $n$ volte $Q^\text{eff}$, il modo meno costoso per farlo è utilizzare $n$ unità produttive, producendo $Q^\text{eff}$ unità di output in ciascuna di esse.
A questo punto la struttura dei costi del monopolista dovrebbe essere chiara. La funzione di costo del monopolista è una retta di pendenza pari a $AC_\text{min}$, che è quindi il costo marginale (uguale al costo medio) del monopolista.
Ricavi del monopolista
La funzione di ricavo di un’impresa concorrenziale è semplice: ogni unità di output è venduta al prezzo di mercato, che è determinato da forze virtualmente esterne all’impresa — le scelte di produzione della singola impresa hanno un impatto trascurabile sul prezzo. La funzione di ricavo di un’impresa concorrenziale, quindi, è una retta crescente di pendenza pari al prezzo di mercato.
Nel caso del monopolio la situazione cambia radicalmente. Il monopolista ha il potere di influenzare il prezzo di mercato attraverso le proprie scelte di produzione. A differenza dell’impresa concorrenziale, il monopolista non vende il suo output ad un prezzo già determinato: è il monopolista stesso a scegliere il prezzo attraverso le due decisioni di produzione. Il monopolista fronteggia una curva di domanda decrescente per il suo prodotto: sa di dover ridurre il prezzo per poter vendere quantità maggiori. Ciò si traduce in una funzione di ricavo che ha una forma più complessa rispetto a quella di un’impresa concorrenziale.
Assumendo che la curva di domanda di mercato abbia la forma lineare $P = a - bQ$, la funzione di ricavo del monopolista è
\(\begin{gathered} R = PQ = aQ - bQ^2 \end{gathered}\)
che, come illustriamo nella figura qui sotto, ha la forma di una U rovesciata: al crescere della quantità il ricavo inizialmente cresce, poi decresce. Questo non dovrebbe sorprenderci: essendo il monopolista l’unico venditore sul mercato, il suo ricavo non è altro che la spesa dei consumatori! Come abbiamo visto nella Sezione 4.3, quando la quantità è bassa e quindi il prezzo è alto, ci troviamo nella parte elastica della curva di domanda: la spesa aumenta al ridursi del prezzo e all’aumentare della quantità. Il contrario accade quando la quantità è alta e quindi il prezzo è basso — in quel caso ci troviamo nella parte rigida della domanda.
Per capire meglio come stanno le cose, calcoliamo la funzione di ricavo marginale del monopolista. Supponiamo che il monopolista voglia espandere la produzione di una minima quantità: $\Delta Q$ unità di output. Per vendere queste unità aggiuntive, il prezzo dovrà Nel caso di domanda lineare $P=a-bQ$, vendere $\Delta Q$ unità di output in più richiede vendere ciascuna a $b\times\Delta Q$ euro in meno. In altre parole, $\Delta P=-b\times\Delta Q$. scendere: $\Delta P<0$. La variazione del ricavo è quindi \(\Delta R = (P+\Delta P)(Q+\Delta Q)- PQ\) che possiamo scrivere come somma di due termini:
\(\begin{gathered} \underbrace{(P+\Delta P)\times\Delta Q}_{ \text{effetto quantità } (> 0) }\;\; + \underbrace{\Delta P \times Q}_{ \text{effetto prezzo } (< 0) } \end{gathered}\)
Il primo termine, positivo, è il ricavo aggiuntivo derivante dall’espansione della quantità. Il secondo, negativo, è il minor ricavo derivante dal fatto che le unità che il monopolista già produceva devono ora essere vendute ad un prezzo minore. Dividendo per $\Delta Q$ e facendo tendere quest’ultimo a zero, otteniamo il tasso a cui varia il ricavo al variare della quantità, ovvero il ricavo marginale: \(MR=\frac{dR}{dQ} = P + \frac{dP}{dQ}\times Q\) Da questa scomposizione, ricordando la formula dell’elasticità della domanda, possiamo La formula a sinistra è solo in apparenza diversa da quella della concorrenza perfetta, $MR = P$. Infatti un’impresa concorrenziale può essere vista come un “monopolista” che affronta una domanda perfettamente elastica: operando in un mercato con moltissimi beni sostituti perfetti, non può influenzare il prezzo. Quando l’elasticità tende a infinito, il termine $1/E^D$ si annulla e si ottiene $MR = P$. concludere che
\(\begin{gathered} MR=P\times\Big(1+\frac{1}{E^D}\Big) \end{gathered}\)
Quando la domanda è elastica ($E^D<-1$) abbiamo $MR>0$, cioè il ricavo aumenta all’aumentare della quantità prodotta. Quando la domanda è rigida ($-1< E^D< 0$) abbiamo $MR< 0$, cioè il ricavo diminuisce all’aumentare della quantità prodotta.
Nel caso di domanda lineare $P = a - bQ$, abbiamo
\(\begin{gathered} MR=a-2bQ \end{gathered}\)
La funzione di ricavo marginale ha quindi la stessa intercetta della curva di domanda (cioè $a$) e, come la curva di domanda, è decrescente: se il monopolista vuole aumentare la quantità prodotta, deve abbassare il prezzo — le unità aggiuntive procurano un ricavo minore delle precedenti. Ma la funzione di ricavo marginale si trova al di sotto della curva di domanda, avendo una pendenza doppia ($-2b$ anzichè $-b$): per vendere di più il monopolista deve abbassare il prezzo per tutte le unità vendute, non solo per quelle aggiuntive.
La seguente figura illustra queste conclusioni nel caso particolare con $a=5$ e $b=0.001$.